Restauri Aperti_Ca’ Corner_cantiere on/off

La seconda scarpinata è davvero a spasso per Venezia, e camminando non poco: l’occasione per vedere le calli di Venezia, i canali, e qualche luogo noto ai veneziani ma non troppo frequentato dai turisti, come Campo Santa Margherita, Ca’ Foscari, la caserma dei Vigili del Fuoco…

Un’ottima occasione anche per scambiare due chiacchiere. Ci sono, per esempio, due giovani architetti, Letizia e Nicolò, professionisti a Venezia e Bergamo. Conoscono la città, anche per la formazione universitaria. «Venezia stessa è uno sponsor – dice Nicolò – ha molta visibilità. Una buona idea sentita al Salone è quella di investire in una rete che porti turisti e ricchezza, per valorizzare i beni diffusi. E qualche gemellaggio culturale, come quello con Berlino. Venezia è una città inattuale, ma anche moderna: c’è la wi-fi in tutti i Campi e pochi lo sanno».

Con Letizia parliamo delle attese per la visita: «Ca’ Corner della Regina mi interessa anche per gli aspetti museali. Nella presentazione mi ha colpito l’attenzione all’impiantistica: l’idea di prendere l’acqua del canale, per esempio, quando sarà finito».

Le attese di Letizia non saranno deluse: «E’ stata una visita completa, bello scoprire i segreti moderni in un edificio antico. Un palazzo work in progress, che non è finito ma utilizzato, vivo. Bello anche che abbiano utilizzato realtà locali nei lavori, persone che sanno chiaramente come operare nella propria realtà”, lo dice con una nota di speranza: “le persone che si occupano di Beni Culturali sono moltissime, basta vedere quanta gente c’è qua…»

Il giro è stato lungo, ma l’Ingegner Romeo Scarpa, presentando il lavoro nel palazzo della Fondazione Prada, non se n’è accorto: «Due ore? Davvero?». Gli chiediamo se pensa che un’iniziativa come Restauri Aperti sia un’occasione di divulgazione o piuttosto di formazione. «E’ la stessa cosa. Io ritengo che ci sia un’operazione culturale da fare, per riportare l’attenzione sia su quello che abbiamo: sia sul bello, sia sull’artigianato, la capacità di fare. Bisogna solo metter tutto a sistema con intelligenza. Qui c’è un patrimonio culturale grandissimo, questo è un esempio: uno». «Si tratta di un cantiere on/off: on quando si parte, poi si stacca e parte il museo. Il restauro, secondo me avrebbe bisogno di un attimo di digestione, ma porsi delle scadenze non priva del palazzo per anni. Mi pare che anche l’iniziativa di far vedere sia un modo di mostrare a chi è giovane cosa si può venire a fare. E’ ovvio che si tratta di acquisire delle specializzazioni e delle competenze. E venire adeguatamente pagati, lavorare in sicurezza. E’ anche un fatto didattico: vedendo i lavori impari ad apprezzarli. C’è una fatica che va rispettata e questo un po’ contrasta con i tempi veloci, ma facciamo di necessità virtù».

(annalisa scarpa)

L’Italia s’è ridesta. In difesa del Rinascimento

L’Italia s’è ridesta…speriamo! Così Padre Ugo Sartorio, direttore generale del Messaggero di Sant’Antonio ha concluso la conferenza Dialogo sull’umanesimo di cui era moderatore, introducendo L’Italia s’è Ridesta, presentazione dell’omonimo libro di Aldo Cazzullo (edito da Mondadori), con una bravissima Alessandra Carini a intervistare l’autore.

Cazzullo, giornalista del Corriere della Sera, dichiara di aver scritto un libro in difesa del Rinascimento, della Resistenza e dell’Unità nazionale, un libro contrario allo scetticismo generale che sembrava accompagnare i festeggiamenti per l’Unità d’Italia perché gli Italiani continuano a riconoscersi nei simboli Italiani, ma dimenticano di credere nell’Italia.

Un libro che risulta una straordinaria guida per visitare l’Italia e che mostra grandi esempi italiani, denunciando il mood generale di eterno lamento che sembra pervadere i media e gli Italiani.

Un paese come il nostro ricco di cultura, di tradizione e di risorse, preferisce piangersi addosso privo di idee di rinascita, piuttosto che lottare per una  fortuna certa.

Cazzullo diagnostica agli Italiani la sindrome di Custoza, citando l’episodio storico delle Guerre d’Indipendenza d’Italia, in cui gli Italiani convinti di essere stati sconfitti per un’incomprensione, batterono in ritirata, nonostante la posizione di vantaggio ottenuta.

Dobbiamo quindi recuperare la capacità di indignazione davanti a tante brutture a cui siamo stati abituati, ma allo stesso tempo dobbiamo recuperare la capacità di apprezzare le nostre ricchezze.

Dobbiamo investire nella nostra risorsa principale che è la bellezza, investire nel turismo.

E investire nel turismo significa investire nelle infrastrutture, nella formazione del personale, nel mondo dello spettacolo, perché è anche quello una delle nostre risorse di bellezza che crea giro, non si può continuare la gara a chi spenna meglio il turista straniero.

Dobbiamo ritenerci fortunati per l’avvento del “Mondo Globale” , la fame di Italia nel mondo è sempre maggiore. L’Italia è la Musica lirica, la Moda, il Design, la Grande tradizione. Ovunque nel mondo, dire Italiano è garanzia di stile, l’immagine dell’Italia all’estero è un’immagine di pura bellezza, lontana dal mondo nero di cui continuiamo a sentirci vittime.

Non è certo un libro consolatorio, specifica l’autore, denuncia molti scandali della nostra società, ma allo stesso tempo premia quelli che sono gli esempi positivi, per mostrare agli italiani, popolo di poeti, santi e navigatori, che è il momento di ripartire, che le risorse ci sono e basta avere le giuste idee imprenditoriali per sfruttarle.

Io ancora non ho avuto modo di leggere questo libro ma concordo pienamente  con la necessità espressa da Cazzullo di valorizzare tutto quanto l’Italia ci offre, abbandonando il piagnisteo italiano; ma, guardandomi intorno, posso sicuramente affermare che tra i giovani c’è tanta voglia di fare.

Forse spinti dal particolare periodo storico che stiamo vivendo, si legge ne volto dei miei coetanei tanta voglia di arrivare, di ottenere qualcosa, di valere, e sicuramente in una realtà ricca di stimoli come Venezia tutto questo si percepisce ancora più chiaramente.

Una manifestazione come Venezia 2019 non può che darne conferma

L’Italia s’è ridesta? Speriamo!

(benedetta bruzzese)

Restauri e risorse in una difficile Venezia

La prima web-scarpinata è in sala Lago. E’ il convegno inaugurale: una tavola rotonda in cui non sono mancati gli spunti di dibattito. Gli enti e le professionalità da coordinare, nell’ambito dei Restauri, sono molte, come in un cantiere: così nell’apertura dello sponsor Carron. La curatrice di Restauri Aperti, Anna Scavezzon, presenta l’iniziativa, sottolineando come le esigenze del settore siano un argomento urgente ed attuale: sul piatto ci sono la collaborazione con le istituzioni, l’importanza di un rapporto pubblico-privato che renda “vera” la fruizione dei beni, l’impiego di tecnologie innovative, la questione della legislazione attualmente in vigore.

L’incontro è moderato dal giornalista Paolo Conti del Corriere della Sera: la discussione si apre nel nome di Pasolini, per ricordare la distinzione tra sviluppo e progresso. «Siamo anche la patria che ha prodotto l’articolo 9 di una Costituzione che viene studiata nel mondo». Per Conti il rapporto tra pubblico e privato (fate l’orecchio a questo binomio, tornerà spessissimo nel racconto di questi incontri) «diventa ossigeno per non far morire l’idea della tutela».

I tre relatori esprimono posizioni diverse: l’istituzione, la fondazione privata, lo sguardo internazionale del professionista d’oltralpe. Comincia Renata Codello, Soprintendente ai Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna: pronta a dare risposte, consapevole delle critiche, ma al tempo stesso orgogliosa di aver trovato i fondi necessari e di aver sbloccato il recupero di beni da tempo chiusi, «un patrimonio dilapidato», come Punta della Dogana. «Le critiche sono state tantissime, ma penso che nessuno oggi possa dire che quel luogo non sia fruibile, aperto». Le idee chiave: «mantenere e aggiungere ricchezza» (anche in tempo di crisi) e la «logica del restauro di qualità».

Come esempi di qualità Pasquale Gagliardi propone gli investimenti della Fondazione Cini, per esempio gli spazi residenziali del Centro Branca e il cenacolo palladiano, la cui idea progettuale originaria è stata restituita con un enorme fac-simile del Veronese conservato al Louvre: l’idea è nata quando «mi sono reso conto che non l’avremmo mai avuto». Un gran numero di progetti, e «tutto quest’incremento va a vantaggio della comunità».

Dall’idea di comunità, anzi di cittadinanza, riparte l’architetto Hans Kollhoff, e la discussione spazia fino a Berlino: è al cittadino che appartiene la città, a lui che bisogna fornire i servizi, una vita decorosa, contro gli eccessi del marketing. Grazie a Kollhoff abbiamo l’occasione di soffermarci su alcune criticità di questo complicato rapporto tra pubblico e privato: la discussione sull’Hotel Santa Lucia (Paolo Conti è severo nel non far cadere nel nulla la perplessità) è necessariamente ancora aperta. Come quella su tutte le risorse di questa difficile Venezia.

(annalisa scarpa)

 

 

 

 

Alberto e Carla: storie di volontari a Venezia 2019

La figura del volontario, spesso ignorata dal pubblico in eventi di respiro internazionale come Venezia2019 – Salone europeo della cultura, racchiude un contenuto d’informazioni e spunti interessantissimi. Ogni volontario, infatti, porta con sé una storia ed un proprio bagaglio culturale, tutt’altro che banale. Eccone la dimostrazione.

La prima storia che portiamo alla vostra attenzione è quella di Alberto, di Riviera del Brenta (Ve). Alberto si è laureato il mese scorso in scienze dell’antichità, corso di laurea che forma esperti in filologia, archeologia, letterature e storia antiche. Come molti altri volontari, anche lui ha studiato a Ca’Foscari ed ora sta cercando lavoro nella stessa area.

«Mi piacerebbe lavorare in scavi o musei – racconta- ma per ora sono disoccupato. Ho scelto di partecipare come volontario a questo evento per l’alta valenza culturale dell’evento. Di Venezia 2019- Salone europeo della cultura apprezzo i temi presentati, in particolare quelli più a carattere storico-umanistico».

L’interesse per i temi trattati è un tratto tipico di molto volontari. Oltre ad Alberto, infatti, anche Francesco è qui per lo stesso motivo.

«Ho studiato architettura – ci dice- ed ora sto facendo un dottorato in storia dell’architettura. Mi piacerebbe in futuro fare carriera accademica, magari all’estero, sfruttando i contatti a New York e Londra di alcuni professori con cui collaboro».

«Ho scelto di partecipare come volontario a Venezia 2019- Salone europeo della cultura – prosegue – in particolare per la sezione dei restauri aperti. Non è comune, infatti, trovare cantieri visitabili e poter interagire con gli addetti ai lavori, che spesso recuperano vere e proprie opere d’arte. Ne ho già visitati alcuni e sono interessantissimi».

Leggermente diverso, invece, il punto di vista di Carla. Dopo la laurea in lettere e cinema a Venezia, lei ha lavorato in diversi festival cinematografici, come il Trento Film Festival ed il Vittorio Veneto Film Festival ed il seminario internazionale di CICAE.

«Partecipare ad un festival di tali dimensioni – ci racconta Carla- rappresenta un’occasione formativa importante di crescita lavorativa. Se ciò possa rappresentare anche la possibilità di un’eventuale prospettiva lavorativa non lo so, in ogni caso ci metto il massimo dell’impegno e do tutta la mia disponibilità».

(andrea bonacini)

Turismo culturale, l’arma dello Stivale

Turismo culturale al centro del dibattito dei Venice Talks di Venezia2019 – Salone europeo della cultura. Diversi i relatori che hanno animato la discussione, in rappresentanza dei vari attori che operano nel campo del turismo e della cultura.

Il turismo culturale, ovvero il flusso di visitatori generato dall’intero comparto della cultura, ha un grande potenziale in Italia, ma richiede grande professionalità da parte degli operatori.

«Politiche per il turismo – spiega Angelo Tabaro, segretario per la cultura del Veneto – non si limitano allo sfruttamento di una spiaggia, ma devono comprendere un intero territorio con le sue specificità. Il turista deve potersi immergere nella civiltà e nelle sue espressioni artistiche, non può trovare solo svago. A questo scopo la regione promuove progetti (come, tra gli altri, adristorical lands) che puntano allo sviluppo di un turismo di maggiore qualità, attraverso uno sfruttamento di tutte le risorse che una regione offre. Limitarsi ad usare le spiagge e non fare leva su musei, castelli, aree naturali, ville classiche ed altri monumenti ancora rappresenta uno spreco».

Mara Manente, direttore CISET (centro internazionale di studi sull’economia, università Ca’Foscari), rileva un’altra peculiarità del turismo culturale ricordando come esso non soffra della competitività internazionale. Piuttosto, per quanto riguarda Venezia, è presente la competizione tra il patrimonio museale e quello architettonico; sul totale di turisti che arrivano a Venezia in tutto l’anno, solo una minima parte si ferma a visitarne musei o chiese.

Ma come sviluppare le opportunità offerte dal settore della cultura? A suggerire una possibile via è Manuel Guido, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

«La valorizzazione del settore del turismo – spiega Guido- deve passare per due concetti: territorio e rete. Da un lato si deve sfruttare a pieno il territorio e dall’altro serve la partecipazione di tutti i player del settore. Il pubblico deve collaborare col privato per rendere fruibile ed interessante il patrimonio artistico-culturale che abbiamo e tutto il mondo ci riconosce. All’estero i musei sono più bravi di noi a raccontare le loro opere, rispetto al solo mostrarle».

Il patrimonio culturale Italiano, in sintesi è una grande opportunità che deve essere promossa attraverso una maggiore fruibilità. Il pieno sfruttamento di questa risorsa passa da una gestione più orientata all’utente.

(alberto bonacini)

Soffia il vento nelle vele

Riutilizzo e riciclo, parole chiave anche nell’arte. Per questo Manuela Cattaneo Della Porta e Giuseppina Scavuzzo hanno deciso di utilizzare le vele scartate dalle velerie, inutilizzabili per la navigazione e che quindi non hanno mai solcato i mari, e ne hanno tratto degli oggetti di uso comune. L’idea parte da Venezia, come suggerisce il titolo del progetto: Velezia. Manuela, giornalista, di Milano e Giuseppina, architetto, di Enna, hanno saputo unire le loro conoscenze e soprattutto la passione per questa bellissima città, e hanno creato borse, tovaglie e americane in vela. L’ispirazione nasce anche da un bellissimo viaggio in barca a vela compiuto proprio a Venezia, che ora è diventata anche la città in cui risiedono stabilmente.

L’oggetto più originale è sicuramente la borsa Wet&Dry, che grazie alle proprietà impermeabili caratteristiche del tessuto di cui è composta la vela, permette di inserire da una parte il costume bagnato e dall’altro qualsiasi altro oggetto personale, senza paura che si rovini.

Manuela afferma che il pezzo che le piace di più, è sempre l’ultimo che ha creato. In questo caso i “Velotti”, tre simpatici personaggi a forma di vela di nome Evelina, Capitan Velasquez e Velò. Opere interessanti non solo dal punto di vista del design, ma anche dell’editoria, infatti presto verranno pubblicate una serie di storie, ma anche di giochi per bambini. Il design e l’arte possono anche essere un mezzo per sviluppare e creare nuovi progetti, possono essere intrinsechi anche ad altri campi.

Ogni serie è a tiratura limitata ed ogni creazione è unica nel suo genere, grazie ai diversi dettagli, ai colori e ai ricami, dovuti alla produzione artigianale e alla lavorazione a mano.

Una particolarità? I bigliettini da visita non sono semplicemente rettangoli di cartoncino ma vere e proprie barchette, piegate una a una a mano da Manuela e Giuseppina. Anche i piccoli dettagli possono fare la differenza!

(Giada Pasqualetto)

La stampa prende vita

Preparatevi a farvi incuriosire. Avete mai sentito parlare di una stampante in 3D? E’ una novità in Italia, ma in che cosa consiste? A differenza delle stampanti in 2D (quelle che utilizziamo ogni giorno con fogli e inchiostro), quelle in 3D permettono la riproduzione reale di un modello, realizzato con un software di modellazione 3D. Il risultato è un oggetto tridimensionale, dato dalla sovrapposizione di materiale termoplastico. Vedrete così il vostro progetto prendere vita davanti ai vostri occhi.

Grazie all’idea di Patrizia Bolzan e Marcello Pirovano, entrambi laureati al Politecnico di Milano, la stampante in 3D sarà disponibile anche alle piccole e medie imprese artigiane, che possono usufruire di nuove tecnologie per creare oggetti dai sapori antichi.

Tecnificio”, non è né uno studio di programmazione, né un laboratorio. E’ una maker-facility, in cui le conoscenze e le nuove tecnologie vengono messe a disposizione attraverso delle consulenze mirate. “Tecnificio” comprende diverse sfumature, ha un punto di vista multiplo e simultaneo, intercetta i diversi stimoli, anche al di fuori del campo e delle visioni comuni.

A soli 27 anni credono che l’artigianato sia importante da preservare, ma soprattutto da aiutare e rinnovare. Nell’era digitale, è ora di modernizzare anche la tradizione, per creare anche ciò che prima era considerato impensabile, come ad esempio una struttura a diamante e dentro ad essa una piccola sfera.

Negli ultimi anni il costo di queste stampanti è crollato, rendendole disponibili anche alle imprese più piccole, favorendone così l’ingresso anche negli uffici.

Nel loro stand c’è un continuo via-vai di persone ipnotizzate dall’oggetto in questione, che con grande ammirazione lo fotografano e lo studiano per capire il suo funzionamento.

Come souvenir di questo piccolo prodigio dell’innovazione (leggermente più grande di una scatola di scarpe) una piramide con il logo di “Tecnificio”, per ricordare quali miracoli può fare la tecnologia.

(Giada Pasqualetto)

D_HAND tradizione siciliana e cultura zen

29 anni, laureata al Politecnico di Milano in Design Industriale, risiede a Modena ma è di origini siciliane. Ha lavorato per Hiroshi Tsunoda a Barcellona e per Andrea Branzi a Milano. Questo il profilo di Clara Giardina, una giovane designer che partecipa al Salone Europeo della Cultura con la sua prima collezione “Cunzata“, un progetto di D-HAND_design a mano. Questo progetto mette in relazione il design e le tecniche artigianali, per creare dei pezzi unici, unendo tradizione e contemporaneità, reinterpretando oggetti della memoria in chiave moderna. Le opere, interamente autoprodotti e con la collaborazione di un ceramista faentino, sono creati con la tecnica giapponese Raku. Nata intorno al XVI secolo, questo metodo è legato alla cultura zen, attraverso l’esaltazione delle piccole cose, la bellezza nella semplicità e la naturalezza delle forme. Il termine Raku significa infatti, comodo, rilassato, piacevole, ma anche gioia di vivere. Un processo singolare, che stravolge il metodo ceramico classico. L’oggetto acquista dei riflessi metallici che lo rendono originale ed esclusivo.

L’ispirazione le è arrivata proprio dalla sua terra, la Sicilia, dalla campagna e dal mare. Clara ha potuto realizzare la sua collezione grazie ad “Incredibol!”, un concorso sponsorizzato da Bologna e dalla Regione Emilia-Romagna per favorire la crescita del settore creativo. La passione e la gioia che mette in ciò che fa, sono evidenti al primo sguardo.

Il pezzo di cui va più fiera? La fruttiera Agave, il più venduto e che rappresenta interamente la sua idea. La sua descrizione vi ha incuriosito? Potete trovare Clara al Padiglione “Open Design Italia”, che vi racconterà con entusiasmo la sua storia, l’omaggio che ha voluto fare alla sua terra e cosa l’ha portata a scegliere questa strada. Immergetevi anche voi nei colori della Sicilia!

(Giada Pasqualetto)