Tra i ‘Vandali’ di Gian Antonio Stella

Ammetto la mia debolezza: impazzisco per le citazioni letterarie. Certo, mi piacerebbe sempre andarle a controllare, avendone il tempo, ma la capacità di affabulazione di Gian Antonio Stella è tale che sospendo volentieri il giudizio, e mi lascio coinvolgere dal succedersi di immagini e battute che è la sua presentazione. Se c’è una cosa che sarà apprezzata, chiedendo qualche commento all’uscita dalla sala, è proprio questa sua immediatezza comunicativa, che ha convinto anche chi era arrivato senza molte aspettative. Il pubblico è vario e forma una platea calda, che risponde bene al relatore.

La presentazione di Vandali è un atto d’accusa, un tentativo di lavare i panni sporchi in piazza, come si dovrebbe fare in democrazia, almeno secondo l’opinione di Curzio Malaparte. «Tenetevi i trombettieri» dice Stella, e tornando a Malaparte: «inni e ipocriti elogi sono la peggior forma di patriottismo». Una dichiarazione di intenti molto pesante, proposta come conclusione di una carrellata di scempi architettonico-paesaggistici fin troppo lunga, fatta di operazioni mal condotte ma anche di colpevole trascuratezza: la Reggia di Carditello e le case di Ischia, ma anche il progetto di Motorcity o le 28 aree industriali di Crocetta del Montello. “Teròni”e “polentoni”: le critiche non risparmiano nessuno, l’unica differenza è che «al nord le porcherie si fanno con i timbri in regola, al sud senza.»

Ci sono anche esempi virtuosi: in Italia, la Venaria Reale è stata sistemata senza ricorrere a legislazione straordinaria, secondo le regole; in Francia, l’area mineraria di Lens diventa la seconda sede del Louvre, di quel museo che, da solo, fattura molto più di tutti i beni culturali italiani messi assieme. Questi i dati e le provocazioni che Stella propone alla riflessione. Anche senza analizzarli in dettaglio suscitano delle domande importanti, in tempo di crisi: quanti soldi sta sprecando l’Italia sciupando il proprio insostituibile patrimonio?

L’accusa tocca anche il mondo della comunicazione: la promozione dell’immagine del Paese e dei suoi bene dovrebbe essere fatta con attenzione. Se abbiamo degli “idoli” (e Venezia è uno di questi, come i Bronzi di Riace, come Pompei) che tutto il mondo ci invidia, non possiamo usarli per pubblicità di cattivo gusto. Stella sa di essere considerato un “passatista”, ma critica comunque certe operazioni di marketing.

Ve l’avevo detto, ho un debole per le citazioni: Venezia 2019, nell’intervento di Stella, diventa un traguardo al quale guardare attraverso gli occhi di poeti e scrittori come Goethe, Zanzotto, Rigoni Stern, Comisso, che d’Italia hanno celebrato il territorio, la natura e la cultura, il paesaggio con i loro scritti. Perché il patrimonio italiano non rimanga che una citazione, Stella ha scelto di provare a portarli in piazza, questi panni che ormai nessuno ha i fondi per lavare.

(annalisa scarpa)

Restauri da tutto esaurito Ecco le stanze del Gritti

Tra le novità offerte quest’anno dal Salone europeo della cultura «Venezia 2019» c’è stata l’opportunità di visitare numerosi cantieri che operano in laguna da tempo, ma che finora erano spazi inviolati e preclusi ai cittadini. L’occasione ha permesso a trecento persone (suddivise in una quindicina di visite a numero chiuso, andate subito esaurite) di riappropriarsi di luoghi nascosti al grande pubblico.

 

Uno dei cantieri che ha riscosso maggiore successo, con il raddoppio dei tour, è quello dell’Hotel Gritti. Chiuso da un anno, riaprirà i battenti il prossimo 31 gennaio, con un taglio del nastro sobrio (la festa d’inaugurazione è rinviata alla primavera), per accogliere i primi clienti già dal giorno successivo, in tempo per il Carnevale. L’operazione di ammodernamento è costata tre anni di progettazione e un anno di lavori. Detta così potrebbe sembrare un cronoprogramma plausibile, ma se si aggiunge che il costo totale del rinnovo dell’immobile (8mila metri quadri) è di 35 milioni di euro, di cui 30 in opere edili, pari a più di due milioni di lavori al mese, si capisce l’entità dell’operazione.

 

Albergo storico della Laguna, amato da una clientela internazionale che ci ritorna periodicamente («il 20% dei clienti sono praticamente fissi» spiega il direttore Paolo Lorenzoni), attualmente appartiene al gruppo americano Starwood. Oltre al Gritti, la società ha altri due hotel a Venezia, il Danieli e l’Europa, tutti 5 stelle, ma il Gritti si è sempre posizionato un gradino sopra. Affacciato sul Canal Grande, si compone di tre edifici, quello storico che risale al 1475, e due corpi più moderni. I lavori hanno comportato la costruzione della vasca per l’acqua alta, anzi tre diverse, per evitare che hall e ristorante finissero periodicamente in ammollo, oltre alla messa a norma degli impianti.

 

«Ogni giorno lavorano oltre 150 persone contemporaneamente – commenta Lorenzoni – sotto la supervisione della Soprintendenza alle belle arti che ha approvato tutti gli interventi». Per volontà della proprietà americana, i lavori sono stati eseguiti da imprese locali, a partire dallo studio Venice Plan, che ha coordinato gli interventi, e la trevigiana impresa edile Tonon, per continuare con la vetreria Ferro che ha restaurato i 1200 lampadari, la tessitura Rubelli che ha fornito tessuti e interior design attraverso la sua associata Donghia, per finire con le maestranze locali a cui sono stati affidati decori (Edilia) e pavimenti alla veneziana (Asin).

 

Ma la filosofa del ‘chilometro zero’ non si ferma al restauro. «Anche i prodotti che verranno utilizzati dagli chef dell’albergo saranno il più possibile locali, dai vini ai formaggi» ha dichiarato il direttore annunciando anche la creazione di una scuola di cucina. L’albergo, che conta 61 camere doppie e 21 suite, tra cui quella dove soggiornava abitualmente lo scrittore americano Ernest Hamingway con cantina annessa, ora sarà dotato anche di una Spa, con palestra, bagno turco e stanze per massaggi.

 

Arredi, specchi, oltre alle storiche boiserie, sono rimasti gli stessi per espressa richiesta della clientela che è stata interpellata prima della chiusura. Ora l’albergo si appresta a rilanciarsi sul segmento del mercato turistico di super lusso, aumentando il personale che passerà dagli 86 dipendenti pre chiusura ai 110 per l’apertura, con un rapporto di 1,4 per camera, «perché la concorrenza si batte proprio grazie al servizio offerto» conclude il direttore salutando i partecipanti alla visita guidata.

(Fiorella Girardo)

Il futuro della moda

ALF Re-Creation, un piccolo brand nato a Padova e creato da Andrea, Luca e Federico(da cui proviene l’acronimo del nome), incanta i visitatori di Open Design Italia grazie ai suoi pezzi unici, creati riutilizzando teloni di camion, camere d’aria delle biciclette e anche pezzi di feltro colorati. Un architetto, uno studente in architettura e un laureato in ingegneria gestionale si sono riuniti per creare borse ed accessori interamente creati da materiale di riciclo. I primi prodotti sono delle cinture con pattern e fantasie singolari, tutte diverse fra loro. A forza di utilizzare il metro da sarta per le misurazioni dei propri capi, è nato anche il secondo prodotto: una cintura creata interamente con essi. Ma quello che spicca più allo stand sono sicuramente le borse, create utilizzando pellame di scarto dalle taglierie. La particolarità è l’interno staccabile, che permette di cambiare fantasia e colori in base ai nostri gusti e alla giornata.  Tre i modelli disponibili: una borsa a tracolla, una da donna e uno zaino. Sono questi i prodotti di cui vanno più fieri, creati solamente un anno fa. L’ispirazione arriva dalla voglia di fare qualcosa di diverso dal solito, unico nel suo genere, cercando di rendere reale ogni idea che gli passa per la mente. Ogni dettaglio viene curato da loro, dall’inizio alla fine: il processo di design, di creazione, ma anche la cura della grafica e dell’immagine del sito. Hanno cominciato 5 anni fa, ma hanno le idee molto chiare sul futuro e su quello del design. Aspettiamo le loro nuove creazioni!

Raptus&Rose invece è un progetto di Silvia Bisconti, di Belluno. Dopo aver studiato all’Istituto Marangoni, lavora per Romeo Gigli. Grazie a questa esperienza, può aprire uno studio di consulenze creative a Milano. Lavora per moltissimi marchi ed atelier del mondo della moda, sia in Italia che all’estero, svolgendo attività diverse tra loro. Dal 2000 è direttore creativo e stilista del marchio Malìparmi, che le permette di allargare i suoi orizzonti in quest’ambito. Nato nel 2009, Raptus&Rose si occupa di riutilizzare diversi tessuti (che Silvia colleziona) per creare capi su misura da donna, unici e assolutamente diversi tra loro. Per ogni abito, infatti, non esiste una replica uguale: i tessuti vengono comprati nel metraggio utile per fare un solo abito, e se anche due abiti hanno la gonna uguale, il corpetto avrà uno stile e un edge totalmente diverso. Le stoffe, provenienti da abiti vintage, ma anche dalla Turchia, dall’India e dai viaggi che ha compiuto, creano abiti facili da indossare anche a livello di comfort: Silvia pone una grandissima attenzione per la donna, alle loro esigenze, per questo crea dei capi che siano adatti alle moltissime attività che deve svolgere ogni giorno. I vestiti contengono un immaginario molto forte, ognuno racconta una storia diversa, attraverso i colori e i pattern che contiene.

 

Questi sono solo due esempi della moda creata da materiali di scarto e riciclo, reinventati e ripresentati in forme uniche e originali.

Il riutilizzo è il futuro della moda!

(Giada Pasqualetto)

Turismo 2.0

Si discute delle nuove dimensioni del turismo a Venezia 2019 – Salone europeo della cultura. All’incontro Giulia Pozzobon, project manager e content editor di Log 607, Riccardo Hofmann, concept e public relations di Ubisoft, Piero Muscarà, amministratore delegato e co-fondatore di Arte.it ed Adriano Venturini, managing director ectrl solutions. Moderatore Valeria Minghetti, ricercatore senior del CISET-Centro Internazionale di Studi sull’Economia, Università Ca’ Foscari.

Tema: le nuove possibilità offerte dalle tecnologie al turismo. Nuovi modi per visitare città e viaggiare possono essere il volano di un maggior interesse e di un ritrovato fascino anche di località meno famose. Proprio per questo è importante, anche nel settore della cultura, stare al passo con i tempi.

Della necessità di questa innovazione, si fa portavoce Piero Muscarà che ricorda come l’Italia abbia uno dei maggiori patrimoni culturali ma non sia sufficientemente in grado di comunicarlo e promuoverlo.

«Arte.it – racconta in merito alla sua esperienza – ha già censito 10mila eventi e li ha messe al centro di un’offerta ad ampio respiro che comprende calendari, database, notiziari ed altri servizi. Ad esempio, stiamo ultimando una mappa di Caravaggio in Italia. Ciò si colloca in un più grande tentativo di far emergere i legami tra le varie opere del nostro territorio».

Dello stesso avviso anche Adriano Venturini, che con Ectrl solutions sta tentando di mappare gli eventi e le opere culturali per facilitare il turista nella creazione del proprio itinerario.

Ulteriori nuovi modi di applicare tecnologia al turismo emergono dai due contributi successivi. Giulia Pozzobon racconta di come Log607 abbia puntato sulla storia ed il gioco per rendere più interessante la visita di una città o per svagarsi imparando. Il concetto è quello di un libro-game, integrato con un server consultabile attraverso sms, a cui si debba giocare in città, e che imponga di girare ed osservare alle migliori opere della città per proseguire nel gioco.

Ubisoft invece ha puntato sul product placement, ambientando il popolare video-game Assassin’s creed tra Venezia, Roma e Firenze e replicando anche nel gioco le opere d’arte presenti in quelle città.

«Il videogame – osserva Riccardo Hofmann –nasce come una tecnica ma può diventare un’opera d’arte esso stesso, esattamente come cinema e fotografia. Esso, infatti, è un mezzo; i contenuti li mettiamo noi».

(andrea bonacini)

Premio Venezia a Bazoli, Codello, Magris e Palazzetto Bru Zane

Sala gremita e tanti applausi per il Premio Venezia. Il Salone europeo della cultura ha chiuso la prima giornata con l’onorificenza che premia le migliori e più significative azioni di comunicazione finalizzate alla valorizzazione e divulgazione dei beni e delle attività culturali. Presieduto da Luigino Rossi, imprenditore della calzatura, oltre che editore del quotidiano «Gazzettino» nei tempi d’oro della direzione di Giorgio Lago e ora presidente dell’Accademia delle belle arti a Venezia, il premio è andato quest’anno allo scrittore Claudio Magris, assente per motivi di salute, alla soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna Renata Codello, a Nicole Bru, presidente Palazzetto Bru Zane e Giovanni Bazoli, presidente della Fondazione Giorgio Cini.

«Con Adriano Donaggio abbiamo ripreso in mano questo premio che ha 15 anni – ha dichiarato Rossi – e abbiamo cercato di rilanciarlo perché a Venezia ci sono molte brave persone che lavorano per il bene della città». La giuria è composta da Martin Bethenod, ad della Fondazione Pinault, Ileana Chiappini di Sorio, Adriano Donaggio, Philip Rylands, a capo della Collezione Peggy Guggenheim. «Il premio che ricevo – ha dichiarato Renata Codello – è un importante riconoscimento al lavoro di tutti i miei collaboratori, al ruolo di coordinamento e di stazione appaltante svolto dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali. Il nostro ringraziamento va a tutti coloro che amano veramente questa città perché hanno compreso che l’azione di tutela è strettamente connessa con quella di rivitalizzazione e che questo straordinario e difficile equilibrio va perseguito costantemente con competenza e passione».

Come ogni anno, è stata premiata un’istituzione straniera che opera in laguna, ed è stata scelta la Fondazione Bru che ha recuperato il Casino Zane in cui si tengono cicli di concerti. «Il restauro del palazzetto, un tempo luogo di svago – spiega Nicole Bru – è il primo progetto della Fondazione Bru. È per me la realizzazione di un sogno di oltre trent’anni condiviso con mio marito: contribuire alla salvaguardia del patrimonio veneziano. L’obiettivo ambizioso di questa fondazione era di “restituire alla sua storia” il casino e ridargli vita creando la Fondazione Palazzetto Bru Zane – Centre de musique romantique française».

E’ stato Cesare De Michelis a spiegare le motivazioni dell’onorificenza riservata al «saggista» Claudio Magris, «capace di vagheggiare un altrove verso il quale è necessario una morale per non perdersi, privilegiando il valore etico». Anche Bazoli è stato costretto a rinunciare a ritirare il premio per motivi personali, ma ha voluto inviare un messaggio per sottolineare che «è un riconoscimento che, si può dire, ci viene attribuito dalla città. Ed è sempre una grande soddisfazione constatare che la comunità di riferimento apprezza quanto di buono viene fatto nell’interesse comune. Il riferimento al progetto “Le Stanze del Vetro” (il nuovo museo inaugurato nel settembre scorso negli spazi della Fondazione Cini, ndr) nelle motivazioni ci permette di esaltare il valore delle alleanze per la promozione della cultura». Appuntamento al prossimo anno.

(Fiorella Girardo)

Salone, Spending review per la cultura italiana

Non c’è crisi che tenga, la cultura è di casa a Nordest. I cittadini di Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige sono  più assidui fruitori di mostre, musei e concerti. Lo rivela il rapporto Federculture 2012 presentato oggi pomeriggio al Salone Europeo della cultura Venezia 2019, in corso fino a domani in laguna. Non solo, i residenti delle Tre Venezie dichiarano di essere andati di più al cinema, a teatro e a visitare i monumenti durante il 2011. Sono dati che registrano l’aumento del 49%, questo sì a livello nazionale, della domanda di cultura, nonostante il settore continui a essere sotto l’attacco dei tagli pubblici che hanno ridotto le erogazioni dallo 0,8% degli anni ’50-’60 all’attuale 0,28% del Pil.

 

«La legge di stabilità approvata in questi giorni prevede una sforbiciata di 103 milioni di euro nel bilancio del MiBAC, e ai trasferimenti alle Regioni e ai Comuni, complessivamente sono circa 4,5 miliardi, che metteranno in crisi anche le politiche locali per la cultura» ha denunciato il presidente di Federculture Roberto Grossi, «per sopravvivere occorre che lo Stato faccia un passo indietro, lasciando ai privati la possibilità di entrare nella gestione dei beni e delle attività culturali». Ed Emanuela Bassetti, presidente di Civita Tre Venezie, ha osato di più, invocando una sorta di spending review per la cultura. «400 musei in Veneto sono troppi, – ha dichiarato – lo Stato non tornerà più a finanziare come faceva una volta perché la crisi strutturale che stiamo vivendo impone nuovi modelli di governance».

 

Una proposta in tal senso è arrivata da Gabriella Belli, direttrice della Fondazione Musei civici di Venezia. «Grazie alla rendita di posizione di cui gode la città – ha spiegato – la nostra realtà riesce ad autofinanziarsi al 96%, permettendoci di produrre e programmare a lunga scadenza. Ma è chiaro che non tutti i musei possono fare la stessa cosa, per cui occorre creare una filiera di strutture in cui le più organizzate danno una mano alle più piccole condividendo, una certa managerialità. Altrimenti i più fragili saranno destinati a soccombere, ma sarà il fallimento di un processo evolutivo».

 

Eppure il valore aggiunto creato dalla cultura è pari al 5,4% del prodotto interno lordo, ma l’Italia continua a perdere posti nella classifica dell’attrattività passando, nell’arco degli ultimi 20 anni, dal 1° al 15° posto a livello mondiale. E se lo Stato investe poco, il privato ha ridotto del 40% il proprio intervento, che comunque resta piccola cosa (150milioni di euro) rispetto agli standard internazionali e non sempre è utile. Giuliano Segre, presidente della Fondazione di Venezia, l’ha detto chiaramente: «Le fondazioni di origine bancaria a volte hanno operato bene, ma spesso hanno solamente prolungato l’agonia di istituzioni culturali destinate a morire per cattiva gestione. C’è la necessità di capire meglio che ruolo possono avere come imprenditori culturali».

(Fiorella Girardo)

 

Il tema delle selezione, lanciato dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano durante gli Stati generali della cultura di Roma, è stato ripreso anche dall’assessore alla pianificazione del Comune di Venezia Pier Francesco Ghetti. «Anche Venezia non riflette abbastanza sull’importanza del turismo culturale, dando per scontato il patrimonio artistico di cui gode, vive di rendita e non ragione sulla selezione della qualità. La scommessa, invece, è nell’innovazione e nella modernizzazione di un Paese che si è fermato a vent’anni fa».

A spasso tra i cantieri

 «Restauri Aperti»: chi ha visto gli elmetti indossati dai volontari ha già colto lo spirito dell’iniziativa. Servono scarpe comode (anche se a Venezia è sempre vero) e non soffrire di vertigini, perché alcuni cantieri hanno ponteggi alti anche 20 metri.

La mattina si comincia, ma non subito tra le impalcature: ci sono i seminari di presentazione, per la Chiesa dei Gesuiti e per Ca’ Corner della Regina.

I nuclei tematici dell’iniziativa ci sono già tutti: come coniugare l’esigenza di fruire un bene pubblico con la logica del privato? Come rendere fruibile un bene architettonico di pregio fronteggiando enormi costi? Come innovare rispettando l’identità artistica e storica del bene?

Restauri Aperti presenta casi specifici, problemi concreti, le soluzioni adottate di volta in volta.

Le prime visite saranno solo all’ora di pranzo: anche se per pochi “addetti ai lavori”, alcuni cantieri si aprono alla città, permettendo uno sguardo ravvicinato.

E uno sguardo ravvicinato su Restauri Aperti è quello che vogliamo offrirvi da queste righe. Una sorta di diario, accanto ai tecnici e ai visitatori dei monumenti, insieme agli studenti che li accompagnano.

Preparate elmetto e scarpe comode, si parte!

(annalisa scarpa)

Il Nordest di Lago e Le Venezie da (re)inventare

Non solo l’economia ma la stessa identità del Nordest stanno attraversando una crisi di identità.

Giorgio Lago, compianto direttore del Gazzettino, fu colui che in un certo senso lo inventò questo Nordest. La parola stessa denota le origini di un territorio partito povero e divenuto velocemente ricco – grazie a lavoro-meningi-fatica – che volle prendere le distanze da Milano, da cui è a Est e da Roma, perché a Nord.

Ma la globalizzazione ha infranto ogni coordinata. E anche l’imprenditore oggi non è più il pioniere solitario con la valigetta che gira il mondo e vende, parlando il dialetto e scrivendo su un foglio di carta i numeri della contrattazione per poi stringere la mano ad affare fatto.

Perché c’è bisogno di un nuovo senso?
Per recidere col passato e ri-orientarsi guardando al futuro.

Giorgio Lago fu un uomo che, lontano dagli stereotipi, seppe dare orgoglio a questa terra. Fu una questione di rappresentazione prima di tutto. E il Nordest, lo si deve dire, ha sempre comunicato poco e male se stesso per incuranza o per una tendenza, forse genetica, a fare da sé senza disturbare o chiedere mai ad alcuno.

Perché adesso c’è bisogno delle Venezie? A molti potrebbe sembrare un ritorno al passato, a un lessico oramai desueto da tempi andati. Vero, persino io sono scettica. Ma la grande forza del Meeting della Cultura che si svolgerà a Venezia dopodomani con il compito – all’interno del Salone Europeo della Cultura 2019 – di definire l’agenda per la candidatura europea di quest’area vasta che va da Bolzano a Trieste, è proprio quello di rimettere in gioco tutto. Persino il vocabolo.

Questa terra sta iniziando un lungo percorso di riposizionamento. E come spesso accade c’è bisogno di qualcuno che indichi una strada da seguire. Prendere in considerazione di cambiare anche il nome non è solo un’operazione di brand. Ma di tempi – odierni o strani, come direbbe Ilvo Diamanti – che non hanno più a che fare col passato.
La domanda da porsi è dunque: il Nordest esiste ancora?

(eleonora vallin)

Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/blogs/cultura-rete-il-blog-di-venezia-2019-salone-europeo-della-cultura/il-nordest-di-lago-e-le-vene#ixzz2D8cSeQCO

AAA cercasi design per «emozionare»

Cos’è il design?Progettazione e disegno in vista di una futura produzione industriale. Girare per le stanze di Open Design Italia ai Magazzini Ligabue è come assistere a uno spaccato d’Italia. Un’Italia del fare che, partendo da un’idea, la crea in bottega e la produce in piccola serie. Quindi una buona Italia. E un’Italia di lamentazioni perché poi, questa piccola serie non riesce ad arrivare all’industria. C’è un sogno dietro l’orologio che utilizza le lattine di Coca Cola a mo’ di quadrante, le tovaglie cucite e disegnate a mano su vele di scarto presentate da Velezia, i tavolini di resina a tre piedi che ricordano un Ufo di 24Carati, le collane intrecciate di Greenwood materiale anche questo di riciclo e persino dietro un ex caffettiera Bialetti usata come lampada a soffitto. Il file rouge è il riciclo. Le collane di vetro con i colori che oggi si fatica a ri-pigmentare e che si presentano come vintage di Perlamadredesign sono il simbolo di un’anima emozionale che si avverte nei racconti di questi giovani produttori di arte. Un’arte che vorrebbe tornare a Murano, ma come si fa? Si chiedono le designer alla vigilia dell’apertura del loro atelier: «A Venezia c’è molta più gente, speriamo sia più facile vendere lì». Open design Italia sbarca per il primo anno a Venezia dopo due edizioni a Modena e a Bologna. La mostra nasce e si propone come partner privilegiato per promuovere la collaborazione tra designer-imrpese e artigiani. E a Venezia una sezione è interamente dedicata ai designer emiliani delle zone terremotate. «Si tratta di nicchie particolari che solo il made in italy può colmare» ha detto stamani l’assessore regionale veneto Isi Coppola stringendo la mano a Massimo Mezzetti collega per la Cultura in Emilia Romagna. «Il design auto prodotto unisce il saper fare e l’arte, la cultura umanistica e l’artigianato – ha risposto Mezzetti -. L’obiettivo è fare cose che carpiscano la gente perché influiscono sulla componente emozionale del consumatore. Insomma: aggiungere qualcosa al made in Italy». E rilancia: «Il design ha un valore aggiunto pari al settore finanziario assicurativo e produce 30 volte di più di quanto lo stato investa sul comparto. Ma questa è una consapevolezza che lo Stato non ha».

(eleonora vallin)